MArRC, livello C
La visita al Museo Archeologico di Reggio prosegue al LIVELLO C per scoprire gli aspetti di vita quotidiana nelle città della Magna Grecia
Teatro e Poesia in Magna Grecia
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Per i Greci gli spettacoli teatrali si tenevano in occasione di feste religiose in onore del dio Dioniso, ed erano anche sovvenzionate dallo stato che considerava, la partecipazione ad esse come un obbligo civico. Le maschere indossate dagli attori greci del IV secolo a.C. furono riprodotte in forme miniaturistiche in terracotta come ex-voto nei santuari. Tra le varie maschere abbiamo un’antefissa del Santuario di Apollo a Cirò Marina che mostra i caratteri della maschera comica. Le statuette di attori con maschere e abbigliamenti comici testimoniano il successo del genere di commedia, rielaborato in Magna Grecia da attori che parodiavano le tragedie in rappresentazioni teatrali con l’impiego di mimi, danzatori e acrobati. Le fonti letterarie attestano una diffusione precoce in Magna Grecia dei famosi ‘Ditirambi’, i canti corali in onore del dio Dioniso durante i rituali. L’eco delle tragedie attiche giungeva grazie alle raffigurazioni a esse ispirate sui vasi importati da Atene. In una delle vetrine abbiamo depositi votivi trovati presso il teatro di Locri. Tra questi oggetti un frammento di antefissa (decoro in terracotta per la copertura del tempio) a testa femminile. Un’anfora panatenaica proveniente dalla tomba della necropoli e consistente nel cosiddetto premio agli atleti, colmo di olio e raffigurante la gara musicale di un suonatore di cetra. Accanto troviamo degli strigili in bronzo utilizzati per l’igiene dell’atleta.
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Scheda a cura di Maria Pia Calabro’ e Nicole Galati – 5^CT a.s. 2020/2021
I Riti funerari in Magna Grecia
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Per gli antichi greci i riti funebri erano importantissimi per garantire all’anima dei defunti di avviarsi verso l’oltretomba. Per i parenti del defunto i riti servivano a rendere onore alla salma che era cosparsa di oli profumati. La preparazione del funerale era riservata alle donne della famiglia, che lavavano e vestivano il defunto per l'esposizione chiamato “prothesis”.
Ai lati della salma si disponevano successivamente i cantori, i parenti, gli amici e le donne della famiglia. Queste intonavano il lamento funebre esprimendo il dolore con gesti forti stabiliti dalle tradizioni quali: battersi il capo, percuotersi il petto, sciogliersi e strapparsi i capelli.
Al termine dell’esposizione del defunto, si celebrava un sacrificio in suo onore, dove, il sangue degli animali uccisi veniva cosparso intorno alla salma, mentre le carni erano utilizzate per il banchetto funebre. Successivamente con una processione funebre il defunto veniva portato alla necropoli, dove la cremazione del corpo o la sua inumazione era accompagnata da offerte e bevande.
Nei casi in cui era praticata, anziché il rogo, la sepoltura, la salma era calata in una fossa rettangolare e accanto al cadavere erano deposti le armi, i gioielli e utensili di uso comune. Talvolta sulla tomba era collocata un’urna senza fondo attraverso la quale pervenivano al defunto le offerte dei familiari e le libagioni di vino e di miele. In onore del defunto potevano essere indetti giochi funebri, al termine dei quali erano consegnati ai vincitori ricchi premi messi in palio da parenti e amici.
I giochi funebri avevano il duplice scopo di celebrare la memoria del defunto e di esaltare la ricchezza e la potenza dei sopravvissuti che li avevano organizzati. Il corredo tombale era composto da oggetti cari al defunto oppure deposti come offerte; e tutto ciò che durante la loro vita terrena avevano utilizzato di più.
Scheda a cura di Sabrina Mallimaci e Desirée Fossari – 5^CT a.s. 2020/2021
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I componimenti scritti dalla poetessa Nosside, una cantatrice di temi amorosi dalla singolare forza espressiva, li rimandiamo invece ad un ambiente aristocratico. Il teatro di Locri fu realizzato su un’altura e non era solo sede di spettacoli teatrali ma anche di riunioni politiche. Il palcoscenico, a pianta rettangolare, era inquadrato da due ali e chiuso in un ambiente allungato. La capienza era intorno ai 4500 spettatori. In età romana, erano di moda spettacoli come lotte di gladiatori e combattimenti tra uomini e animali.
Tra alcuni reperti ritrovati al teatro di Locri, abbiamo: la statuetta di ‘Afrodite Urania’. La statuetta raffigura Afrodite seduta sul trono che poggia i piedi su una tartaruga e tiene tra le braccia alcuni vasi, quasi come se li volesse tenere custoditi per sé.
Anche la necropoli di Metauros ha restituito 1500 tombe, databili tutte tra il VII e il VI secolo a.C. Le ceneri venivano messe all’interno di grandi recipienti, usati per immagazzinare alimenti. Il defunto veniva spesso posto all’interno di alcuni contenitori d’oli profumati, utilizzati per preparare il corpo durante il rituale funebre.
Il Museo, inoltre, custodisce una delle più importanti collezioni magnogreche di specchi in bronzo. Altra pregiata testimonianza è quella costituita da un contenitore per profumi con le sembianze di un menade danzante.
Abitare e produrre in Magna Grecia
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Le abitazioni - Nelle città della Magna Grecia l’abitato veniva organizzato con un reticolo di strade ortogonali che definivano gli isolati della stessa grandezza. Il fine era di assegnare ai coloni delle porzioni di terreno adatte per costruire le proprie case. Il fulcro delle abitazioni era il cortile, in posizione per lo più centrale. Esso fungeva da disimpiego e fonte di luce per i vani circostanti, preceduti spesso da dei corridoi e porticati detti ‘Pastas’. Il cortile era dotato di un pozzo e poteva comprendere il giardino ed i magazzini per tenere al riparo gli animali. Nelle case più lussuose, invece, si distinguevano due zone residenziali: il gineceo e l’androceo, riservati rispettivamente alle donne e agli uomini. In genere il piano superiore era costituito dalle camere da letto, gli spazi della filatura e tessitura, mentre al piano sottostante si teneva la sala da banchetto, destinata ai membri maschili e ai loro ospiti. Le donne, inoltre, venivano abituate sin da piccole a restare nei loro spazi e non potevano recarsi negli androcei.
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I Greci dell’Occidente conoscevano i poemi omerici sin dalla loro costituzione e, come i Greci della madrepatria, li arricchivano di leggenda pur di diffonderli. A Locri, molti avvenimenti venivano raccontati come poemi locali. Senocrito compose saghe eroiche da recitare col canto accompagnato dal suono dell’aulos, uno strumento a fiato simile al nostro flauto. Nel V secolo a.C. Siamo a conoscenza dei canti corali dal tono sensuale e frivolo realizzati dalle vergini locresi.
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Nella vetrina è esposta una coppia di orecchini in oro a testa di antilope e una coppa vitrea che fanno parte del corredo femminile di Varapodio. La coppa, incorpora figure in oro descritte minuziosamente. E’ stata realizzata inserendo lamine d’oro tra due strati di vetro. La scena principale rappresenta un cavaliere armato di lancia che affronta un felino, nella zona sottostante un’altra scena di caccia, racchiude un albero e due uccelli. E’ un prodotto di alto livello che, oltre a testimoniare la ricchezza della proprietaria, rimanda a rapporti con il Mediterraneo orientale dal quale forse proviene. In seguito la cerimonia si svolgeva con un banchetto chiamato “perideipnon” che rinsaldava il gruppo nel segno di un ritorno alla normalità. Alcuni giorni dopo e annualmente venivano fatte delle cerimonie commemorative.
Tutor: prof.ssa Filomena Nesticò
Tra poesia e musica: il caso di Locri
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Le officine ceramiche - Anche nelle colonie magnogreche esisteva un ‘Ceramico’, un quartiere adatto per le creazioni di manufatti in argilla. All’epoca si faceva un forte uso dei recipienti in ceramica; anche il materiale edile era in terracotta, come lo erano le statuette ed i doni votivi destinati ai santuari. I vasi venivano lavorati al tornio e le statuette venivano prodotte con l’uso delle matrici che necessitavano di luoghi dove farli prima essiccare e poi cuocerli dentro le fornaci. Tra alcune produzioni rinvenute, abbiamo: i vasi, i recipienti alimentari, delle piccole pentole, alcuni contenitori di spezie e i vari utensili utilizzati all’interno delle abitazioni.
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Tipologie delle sepolture: In base al sesso, all'età e alla classe sociale c’erano delle differenze non solo nella composizione e nella ricchezza dei corredi, ma anche nelle tipologie delle sepolture e nell’uso di alcune aree delle necropoli. I membri delle classi più umili venivano sepolti in semplici fosse, mentre ai membri di famiglie facoltose erano destinate degne sepolture e corredi sfarzosi. L’urna, avvolta in un drappo, era calata in una fossa, poi sigillata con grandi lastroni di pietra. Sopra di questi si gettava la terra a formare un tumulo sul quale poteva essere eretta una stele.
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La necropoli arcaica di Metauros
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La tipologia delle tombe - Una delle necropoli antiche più note in Calabria è quella di Metauros, fondata dai Calcidesi, provenienti dall’isola greca di Eubea. Qui furono individuate circa 1500 tombe, databili nel VII e VI secolo a.C. Nella prima metà del VII secolo le sepolture furono soprattutto inumazioni in semplici fosse, invece, tra la metà del VII e il VI secolo a.C. furono prevalenti le incinerazioni. Le ceneri venivano poi inserite entro grandi ceramiche. Dalla seconda metà del VI secolo a.C. si diffuse l’inumazione del defunto dentro casse di tegole in terracotta con una copertura piana, più raramente invece, nelle tombe “a cappuccina”, con le tegole disposte a tettuccio.
Corredi funerari - Nei Corredi, venivano spesso inseriti contenitori per unguenti profumati, in genere di piccole dimensioni, di forma globulare, affusolata o a brocchetta con decorazioni lineari o figurate, talvolta in forma plastica di animali o testa umana. Le tombe maschili si individuavano per la presenza di forme vascolari connesse alla pratica del simposio, ossia del bere il vino in comune. Nel VI secolo a.C. furono utilizzati, come contenitori delle ceneri o come elemento di corredo, i vasi Calcidesi, ceramiche a figure nere di fattura greca ma prodotta in Occidente, probabilmente a Reggio. Queste ceramiche erano considerate funzionali a contraddistinguere defunti che in vita a avevano goduto di un certo prestigio sociale ed economico. Nella vetrina ricorrente abbiamo un esempio di vaso funerario proveniente dall’Attica e contenitori vari in terracotta di piccole dimensioni che servivano a contenere unguenti profumati.
Scheda a cura di Agnese De Francesco – 5^CT a.s. 2020/2021
Riti funerari a Lokroi Eplzephyrioi
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Scheda a cura di Violanda Genoese – 5^CT a.s. 2020/2021
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La tomba 1119: la tomba che ha restituito due dei più raffinati crateri del Pittore di Locri apparteneva a una donna sepolta senza corredo ma con in mano un uovo di struzzo, simbolo di rinascita. Vi erano due crateri giuntati con l’argilla alla copertura del sepolcro, un altro era posto lungo il fianco, un quarto era forse collocato su una delle testate. Sul fondo di uno dei crateri fu praticato un foro, in modo da renderlo inutilizzabile e consacrare alla defunta. Uno dei due crateri raffigura la follia di Licurgo, che brandendo una bipenne si protende verso la moglie per implorare pietà, mentre Dionisio assiste impassibile: sull’altro compare l'incontro tra Peleo e Atalanta prima della gara di lotta che vide vincitrice l’eroina.
Scheda a cura di Angela Amodeo e Clyde Ian Bancud – 5^CT a.s. 2020/2021
Continuiamo il nostro itinerario espositivo per conoscere insieme le ideologie funerarie in età tardo classica e scoprire Lucani e Bretti
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Il rito funebre per i Greci (400 a.C. al 323 a.C.) - I Greci temevano la morte che condannava la loro anima a vagare nell’Ade, per questo erano diffuse le pratiche di tipo esoterico, svolte nella più stretta segretezza da iniziati che speravano di assicurarsi l’immortalità dell’anima in un luogo privilegiato di beatitudine. Inoltre, nel mondo greco, gli onori dovuti ai morti erano un dovere fondamentale di pietà religiosa, che spettava ai figli o ai parenti più stretti. Si riteneva che la celebrazione del rituale propiziasse il viaggio del defunto verso l'Ade. Si credeva infatti che l'anima di chi non avesse ricevuto onori funebri fosse condannata a vagare senza pace e perseguitasse quanti non avevano osservato l'obbligo dei funerali. Descrizioni dei rituali più antichi si trovano nei poemi omerici e comprendono l’esposizione del cadavere (próthesis) e il compianto delle donne (góos).
Ritrovamenti nei corredi funerari locresi (seconda metà IV secolo a.C.) - Tra alcune testimonianze spicca un originale unguentario a forma di cinghiale recante due scene caricaturali, la cui presenza indica che il defunto era forse un iniziato a una religione misterica, e un contenitore per profumi a forma di Menade, colta nell’atto di danzare portando con sé il tamburello, riconducibile a Dioniso protettore dei defunti.
Scheda a cura di Angela Amodeo e Clyde Ian Bancud – 5^CT a.s. 2020/2021
Scheda a cura di Salvatore Falzia e Chiara Morabito – 5^CT a.s. 2020/2021
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La Panoplia - L’elemento distintivo del corredo maschile è la Panoplia (armatura completa del guerriero) costituita da un elmo crestato di tipo frigio, una corazza anatomica con decorazioni a sbalzo e una coppia di schinieri (parastinchi) anch’essi in bronzo. Doveva trattarsi probabilmente di un armamento da parata proveniente da un’officina dell’Italia meridionale, forse Taranto. Questo prestigioso corredo funebre fu rinvenuto casualmente a Lanuvio nel 1934 nella tomba di un giovane sepolto dentro un sarcofago. Al corredo personale del defunto apparteneva anche il diadema d’oro ornato con cinque rosette a doppio ordine di petali.La sepoltura maschile era poi completata da una cuspide di lancia, da un giavellotto in ferro e da una coppia di strigili in bronzo, mentre la presenza di uno sperone in bronzo e di un morso equino in ferro confermano che il defunto era membro della classe dei cavalieri.
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La ceramica calcidese - E' un gruppo della ceramica greca, così denominato per la presenza, su alcuni vasi, di iscrizioni in alfabeto euboico. La produzione è a figure nere con dettagli incisi e vivaci ritocchi aggiunti in rosso e bianco, di stile eclettico. La localizzazione di questa classe è discussa ma prevale la tendenza a considerarla di produzione occidentale, in particolare della colonia calcidese di Rhegion in Magna Grecia, l'odierna Reggio Calabria. La ceramica calcidese è caratterizzata da grandi figure all'interno di pannelli bordati da fasce decorative o semplicemente su fondo scuro. Le scene rappresentate sono spesso d'azione e di racconti mitologici molto rari. Frequenti, sono anche i semplici gruppi di figure, con scarsi dettagli interni, che comprendono uomini, donne o animali.
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L'ornamento tipico è l'intreccio di fiori e palmette sul collo delle anfore. Le forme più diffuse sono l'anfora, il cratere a colonnette di forma corinzia (solo all'inizio) e più tardi, quello laconico, con anse a staffa ma con piede dal profilo variato, tutte sempre di qualità elevata. L'argilla è fine e il suo colore varia dal giallo arancio al marrone rossiccio. La vernice è brillante, quasi nera o di un marrone dorato se maggiormente diluita.
L'effetto è molto simile a quello della ceramica attica, ma ancora riconoscibile per alcune caratteristiche tecniche, come l'uso di immergere il collo delle anfore nella pittura nera, per poi decorarlo con linee ondulate color porpora, o la pratica di stendere prima strati leggeri di colore, nel delineare le figure e in seguito sovrapporvi il colore denso che non ne riempie interamente la forma. Lo stile calcidese è meno disciplinato e meno preciso di quello attico, più fluente, più decorativo e soprattutto fortemente eclettico. Ma la produzione "calcidese", è l'unica a figure nere della seconda metà del VI secolo a.C., capace di reggere il confronto qualitativo (sia sul piano formale che su quello tecnico e stilistico) con la coeva produzione attica.
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I corredi funerari - I corredi funerari maschili comprendevano recipienti per il simposio, la pratica conviviale del bere vino, che nel mondo greco era esclusiva prerogativa della classe sociale aristocratica. Per bere si usavano dei vasi, coppe (kylikes) oppure tazze Agli aristocratici erano associati anche strumenti di bronzo come mestoli e colini per filtrare le impurità. Solo alcuni membri di un élite privilegiata erano sepolti con oggetti sportivi: strigili in bronzo, strumenti per detergere il corpo eliminando l’olio di cui si faceva uso in palestra. In tutte le tombe sono state trovate delle lekythoi, ovvero vasi per contenere oli profumati per toeletta, usati anche dagli atleti prima degli esercizi sportivi e per i rituali funebri. Nei corredi femminili erano inseriti oggetti per la cura e l’abbellimento del proprio corpo e nei corredi infantili si ritrovano spesso oggetti che erano richiami simbolici ai giochi dei bambini (biglie in bronzo), delle bamboline in terracotta con arti snodabili, ed oggetti in miniatura, come ad esempio delle piccole lampade.
Gli specchi - Locri è insieme a Taranto è la colonia della magna Grecia che ha restituito il numero più considerevole di specchi: prodotti da bronzisti locali. Presentano talvolta una placchetta a capitello o ancora una decorazione con figure singole maschili o femminili singole anche complesse. Particolarmente importanti risultano i manici che potevano essere con una base di pregevole fattura a statuetta femminile o maschile. Solo le donne di ceto medio - alto possedevano uno specchio per la cosmesi personale. La deposizione sulla tomba non solo individuava il defunto come una donna ma indicava lo status sociale privilegiato.
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La Necropoli di contrada Lucifero e le tipologie tombali - Fuori dalla città di Locri ci sono le necropoli, la più nota e più vasta area sepolcrale è quella di Contrada Lucifero come attestano le 2000 tombe rinvenute e databili tra il VII e il II secolo a.C. spesso segnalate da vasi di grandi dimensioni, opera di ceramografi ateniesi, oppure da piccoli altari in terracotta decorati con immagini del mondo dell'oltretomba. La tipologia delle tombe era di tre tipi: a fossa, a cappuccina e a semi botte.
Esse documentano come era raro il rito della cremazione, e molto diffuso l’uso di inumare il defunto. Nella stessa località sono stati trovati oggetti pregiati importati dalla Grecia e dalle altre colonie tra cui vasi, specchi, ornamenti di bronzo e monili in metallo prezioso.
Il paesaggio funerario - Le tombe erano segnalate in superficie da apprestamenti di varia natura, solo in rari casi monumentali, più spesso semplici, come ad esempio accumuli di ciottoli. Al di sopra della copertura delle tombe o attorno al defunto, sono stati rinvenuti con una certa frequenza astragali, ossa brevi del tarso di animali, soprattutto ovini, con cui i greci giocavano come con i dadi. Ad essi erano attribuiti delle proprietà magiche che li rendevano degli amuleti a protezione del defunto.
Le necropoli di Locri nel IV secolo a.C.
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L’uso funerario della ceramica italiota a figure rosse. Nel IV secolo a.C. si diffuse la ceramica a figure rosse, non più importata dall’Attica ma prodotta a Locri. Ne abbiamo conferma dalle analisi sulle argille, che risultano cavate in loco. Un cospicuo numero di vasi venivano prodotti in un’officina, denominata “Gruppo di Locri”, attiva tra il 380 e il 340 a.C. Le realizzazioni di questa bottega ebbero grande successo soprattutto in Sicilia. Le forme più richieste dai ceramografi locresi furono il cratere per la mescita del vino e le lekane (un contenitore basso e espanso usato per cosmetici o portagioie). Sul coperchio di essi comparivano soggetti legati alla sfera femminile, evocativi della seduzione e delle nozze, quali Eroti e figure femminili alate. Abbiamo la “Lekanis apula a figure rosse”
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Nella fase avanzata del IV secolo a.C. si diffusero le statuette in terracotta, collegate a defunti di giovane età, un tipo significativo è quello della figura femminile nuda seduta, che stava a significare il mancato raggiungimento dell’età adulta. Di rado le statuette costituivano un elemento del corredo, in quanto erano per lo più deposte all’esterno delle tombe come offerta al defunto, al momento della cerimonia funebre o nei successivi momenti commemorativi in suo onore.
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Inoltre sono esposte, una tazza da vino con sfondo bianco e decorazioni rosse e nere e infine una saliera e altri oggetti in miniatura legati soprattutto alla cosmesi. Inoltre sono esposte, una tazza da vino con sfondo bianco e decorazioni rosse e nere e infine una saliera e altri oggetti in miniatura legati soprattutto alla cosmesi.
La Tomba a Camera di Marcellina
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Nei terreni presso la stazione ferroviaria Marcellina però, a più riprese furono intercettate e violate sepolture del tipo a cassa, a cappuccina e incinerazioni, oltre ad almeno due o tre tombe a camera. Una tomba a camera è una tomba per sepoltura utilizzata in diverse culture nel mondo. Costruita spesso nella roccia o talvolta in legno, la camera serviva come luogo di riposo del sepolto, o della sua famiglia o di un determinato gruppo sociale. Alcune tombe a camera sono state letteralmente intagliate nella roccia. Il rinvenimento più significativo avvenne nell’autunno del 1961. Entro il moderno centro abitato di Marcellina fu rinvenuta una grande tomba a camera a pianta quadrata in blocchi parallelepipedi di calcare, conservata sino ad un’altezza di 2,50 metri. Le analisi antropologiche effettuate in seguito permisero di confermare la presenza di due inumati di sesso maschile e femminile.
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Il Corredo Funerario Maschile - La natura del corredo recuperato conferma il genere dei defunti. Il corredo maschile è caratterizzato dalla presenza di oggetti connessi all’armamento e al corredo ceramico destinato al consumo del vino, elementi che contribuiscono a riconoscervi un cavaliere dell’aristocrazia italica. Diadema in oro ornato con cinque rosette applicate a doppio ordine di petali. I diademi venivano indossati in occasione di cerimoniali e rituali come segno di appartenenza a un ceto aristocratico. Cuspide di lancia, sperone in bronzo e un cinturone da parata.
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Il Corredo Funerario Femminile - Gli oggetti attribuibili alla sfera femminile richiamano espressamente la cosmesi: vi sono uno specchio in bronzo, aghi per capelli in osso, elementi di collana in pasta vitrea, oltre ad una serie di utensili metallici connessi al trucco, Insieme con i vasi per contenere belletti ed olii profumati. A questi oggetti si accompagnano vasi più specificatamente legati al mondo domestico ed alla sfera nuziale. In generale, il corredo vascolare è caratterizzato da un ampio numero di forme per bere e per mangiare. Alla tomba appartenevano, infine, una quarantina di appliques in terracotta, raffiguranti grifi, leoni e figure di Dioniso ebbro. Tutti i materiali consentono di datare la deposizione al 330-320 a.C., anche se al suo interno erano pure presenti oggetti più antichi, riferibili al 380-370 a.C.
Scheda a cura di Chiara Napolitano e Giovanni Aragona – 5^CT a.s. 2020/2021
I Lucani e Bretti alla conquista della Magna Grecia
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Sul finire del VI sec. a.C. una massiccia immigrazione di popolazioni di origine sannitica venne a costituire una nuova etnia: i Lucani. I Lucani si integrarono con le popolazioni indigene e conquistarono perfino città greche potenti e ben difese come Laos. Nel V secolo a.C. il loro territorio, che inizialmente comprendeva quasi tutta l’odierna Basilicata, si estese molto più a Sud, dando vita a quella che le fonti definirono la “Grande Lucania”. La società lucana era retta da un'oligarchia, all'interno della quale si sceglieva, in caso di guerra, un re che deteneva il potere per il periodo della crisi. Verso la metà del IV sec. i Lucani dovettero affrontare la rivolta con i Bretti, fino alla loro definitiva scissione. Alla fine del IV e nel corso del III sec. a.C. i Lucani furono coinvolti, direttamente in una sanguinosa serie di conflitti su più fronti e in particolare contro Roma che portarono ad un impoverimento del territorio fino all'abbandono di molti insediamenti.
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I Bretti - I Bretti, denominati in età romana in modo dispregiativo “Bruzi”, sono considerati il popolo antico della Calabria. Il popolo Brettio fece il suo ingresso sul palcoscenico della storia a partire dal IV secolo a.C., infatti, in precedenza erano semplicemente una branca dei Lucani. Con il tempo, questa popolazione modificò la propria abitudine e i propri usi, passando da semplici pastori nomadi, ad una vera e propria Nazione. Iniziarono in questo modo una lenta espansione verso il sud della Calabria, portandoli in più occasioni a scontri, spesso vittoriosi, con le città greche. Iniziarono la costruzione di numerosi piccoli villaggi, abbastanza fortificati, nei quali si riunivano le classi sociali più elevate come: i guerrieri, i magistrati e i sacerdoti, anche se molto diffuse furono le fattorie. Le loro mire espansionistiche e soprattutto le nascite della città, portò alla fondazione della Confederazione Brettia, che vide eletta a capitale l’attuale Cosenza.
Laos - Laos fu un’antica città della Magna Grecia, sorta come colonia della potente Sybaris alla fine del VI secolo a.C. Oggi pare che fosse situata sul colle di San Bartolo, nel territorio dell’odierna Santa Maria del Cedro. All’epoca della sua fondazione erano presenti gli Enotri e il territorio era in gran parte controllato dal punto di vista militare e commerciale da Sybaris, dopo essere scampati alla distruzione della loro città per mano dei crotonesi. Nel IV secolo a.C. arrivarono i Lucani che scacciarono gli Enotri, sottomettendo Laos. La città, dopo un progressivo ridimensionamento, fu abbandonata nella seconda metà del III secolo a.C., probabilmente a causa dei rapporti conflittuali tra Roma e Cartagine, che dovettero incidere anche sull’Economia della corte tirrenica del tempo. Dal 1975 al 1994 un’intensa stagione di campagne archeologiche condotte da un’equipe italo francese di Marcellina ha permesso di riconoscere i resti di un impianto regolare costituito da una maglia di strade che si intersecano ortogonalmente, definendo ampi isolati rettangolari. La tipologia dei reperti rinvenuti fanno ritenere che si tratti dell’abitato più meridionale dell’antica Lucania. Inoltre, testimonianze del passato, sia greche che romane, ricordano proprio la fondazione di Laos.
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Il 356 a.C. è ricordato come l’anno del distacco dei BRETTI dai loro capostipiti Lucani dando vita a una nuova entità etnica e politica. Chiamati secondo alcune fonti letterarie ribelli o schiavi dei Lucani oppure pastori ed educatori della giovane aristocrazia lucana nelle pratiche legate alla caccia e alla guerra . Gli insediamenti si svilupparono prevalentemente in ambienti interni e montani, occupando in genere posizioni naturalmente difese.
LA VALLATA DEL METAUROS: IL TERRITORIO DEI BRETTII
I Brettii a Sud dell’istmo Lametino
Nell’area compresa fra l’Istmo di Lamezia e lo Stretto di Messina possiamo notare alcune particolarità nell’organizzazione del territorio da parte dei Brettii. Alcune tracce della presenza brettia si possono notare anche nelle due città greche di Kaulonia e Hipponion (Vibo Valentia). A Kaulonia sono riconoscibili attraverso alcune tombe nella Neapolis occidentale e nel quartiere ceramico ma anche con monete e bolli laterizi. Una continuità di culto tra Greci e Brettii è inoltre testimoniata dal rinvenimento di un’iscrizione su pietra della fine del IV secolo a.C. Essa riporta in alfabeto osco-greco FEZEIS (VEZEIS), il nome osco della dea Venere. (L'osco era una lingua indoeuropea ed era il nome con cui si intendeva un insieme alquanto eterogeneo di popoli italici. L'area di diffusione della lingua osca comprendeva, in epoca preromana, una larga parte dell'meridionale. Anche a Hipponion (oggi conosciuta come Vibo Valentia) Tra le sepolture troviamo le cosiddette monumentali “tombe a camera”, che hanno lo scopo di denunciare l’origine italica del defunto. Ed infine troviamo un’iscrizione su lamina bronzea contenente una prescrizione sacrificale: Diouvei versorei taurom (a Giove Versore [si sacrifichi] un toro).
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Scheda a cura di Cogliandro Giada – 5^CT a.s. 2020/2021
Scheda a cura di Chiara Mariannini – 5^CT a.s. 2020/2021
Scheda a cura di Eliana Mariannini – 5^CT a.s. 2020/2021
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Gli Italici del Metauros
Il fiume Petrace segna il confine della piana di Gioia Tauro. In età greca alle sue estremità furono fondate le città di Medma (Rosarno) a nord, e Metauros (Gioia tauro) a Sud dove nacquero piccoli insediamenti posti a controllo del territorio. Fra questi spiccano i centri di Taureana, Oppido-Mella e l’abitato di Castellace. Questi territori erano abitati dai Bretti che vennero chiamati Tauriani.
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Le iscrizioni di Castellace e Palazzo
Negli anni ‘30 del secolo scorso a Castellace si rinvenne una lamina bronzea datata alla prima metà del V sec. a.C., recante la dedica a Eracle Reggino. Essa fa supporre l'esistenza di un santuario greco fondato da Rhegion . Il Santuario rappresentava un luogo condiviso sia dalle popolazioni locali che dai Greci. Alla seconda metà del VI secolo ci fu un altro importante documento linguistico, inciso su una coppa rinvenuta dagli scavi dell'antico fortino situato in località Palazzo di Oppido Mamertina. Si tratta di un lungo testo, incompleto e poco comprensibile nel quale spicca il riferimento a Zankle, l’odierna Messina. Le iscrizioni riportate sulla lamina e sulla coppa portano a pensare che fra la metà del VI e del V secolo a.C. le popolazioni insediatesi a Metauros strinsero forti relazioni con il mondo greco e forse anche con la popolazione siciliana.
I PRIMI BRETTII A CASTELLACE
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L’abitato di Castellace
A partire dalla metà del IV secolo a.C. sui rilievi collinari si nota la forte presenza di una popolazione connotabile come brettia (che rappresentavano una moltitudine formata da persone di varia provenienza, per la maggior parte servi fuggiaschi, raggiunsero una precisa fisionomia politica conquistando alcune città della Magna Grecia) disposta in tanti piccoli villaggi, tipica organizzazione, questa, della società agreste e pastorale dei Brettii.Questi primi Brettii definirono l’organizzazione territoriale dell’intera vallata del Metauros.Lo scavo di un abitato brettio ha portato alla luce un grande cortile e un ambiente-magazzino dove un consistente strato di bruciato ha conservato resti di legno e semi.
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La necropoli
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La necropoli ha restituito circa 1500 tombe databili tra il VIII e il VI secolo a.C. Gli abitanti di Castellace seppellirono i propri defunti accompagnandoli con corredi indigeni, successivamente aggiunsero anche oggetti di tipo greco, con l’adozione di nuovi rituali, la pratica funeraria più diffusa era l’incinerazione: le ceneri dei defunti venivano raccolte in grandi contenitori in origine usati per immagazzinare i prodotti alimentari, rimandano ad un rituale di matrice culturale greca e rappresentano il riflesso delle relazioni tra le popolazioni locali e le genti greche.
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Dal VII secolo a.C. in poi l’incinerazione fu sostituita dall’inumazione: il defunto era sepolto con contenitori per oli profumati, utilizzati per preparare il corpo durante il rituale funebre. Le sepolture brettie, nonostante numerose risultino depredate, in esse si registra la presenza del cinturone bronzeo che individua il defunto come “guerriero”. La presenza della sepoltura poteva essere indicata da cippi o segnacoli posti in superficie. Le ceramiche provenienti dalle tombe maschili della necropoli così come gli strumenti connessi all’attività atletica, sono il riflesso dell’elevato ruolo sociale dell’inumato.
Le sepolture femminili con dei frammenti ossei al centro, erano ricche di oggetti riconducibili alla sfera della bellezza con vasi legati alla cosmesi.
Sintesi da appunti forniti dalla Sezione Didattica del MArRC e dalla Delegazione FAI di Reggio Calabria per gli Apprendisti Ciceroni del Piria. Sitografia consultata: www.museoarcheologicoreggiocalabria.it; www.treccani.it; www.wikizero.com; www.studiarapido.it; www.vitantica.net; www.associazionearcheologicanissena.it.
IL TERRITORIO DEI TAURIANI
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I Tauriani
Tauriana fu una città brettia, che si trovava nella parte meridionale della Calabria. Le sue rovine sono state localizzate nel territorio di Palmi. Il nome della città deriva da quello del populus italico che la fondò, i tauriani. La loro presenza è oggi confermata dal rinvenimento di bolli laterizi recanti l’etnico Tayrianoym, ossia dei Tauriani.
La fortificazione di Palazzo
Negli anni ’90 del secolo scorso sono stati trovati i resti di una struttura fortificata, situata in Aspromonte. L’edificio era fornito di un unico ingresso sul lato meridionale, presentava una pianta romboidale di 23 metri per lato, si ipotizza che l’edificio raggiungesse un’altezza di almeno 5 metri. Le spesse mura perimetrali, furono realizzate con pietrame locale, grezzo, messo in opera senza alcun legante. All’interno era un’ampia aria cortilizia sulla quale si aprivano tre ambienti: quello più lungo serviva, probabilmente, per il deposito o per il ricovero degli animali, sul lato opposto si trovavano la cucina e un ambiente (sala da banchetto). Per gli alloggiamenti notturni vi era un secondo piano. Tutta la struttura doveva presentare una copertura con assi di legno dato che durante gli scavi nessun laterizio è stato ritrovato.
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Le fonti sui Tauriani
L’etnico dei Tauriani è riportato sia su alcuni bolli laterizi, sia da un limitato numero di fonti letterarie. I bolli riportavano il nome della popolazione in osco e alfabeto greco nella forma Tayrianoym (dei Tauriani). Essi furono riprodotti con punzoni circolari o rettangolari su mattoni e coppi databili al II-I secolo a.C.
Scheda a cura di Praticò Kristal– 5^CT a.s. 2020/2021
LE DUE CITTA’ DEI TAURIANI
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L’economia dei Tauriani nel II secolo a.C.
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Nel corso del II secolo a.C. l’insediamento di Castellace e il fortino di Palazzo furono abbandonati. Nel frattempo si rifondarono i centri abitati di Taureana(attuale Palmi) e Mella(forse l’attuale Oppido Mamertina).Mella ebbe forse, un ruolo importante nell’ambito del controllo del taglio e della lavorazione del legname, essenziale per le costruzioni edilizie e navali. Molto importante l’estrazione della “pece”(liquido altamente viscoso di colore nero, ricavato dalla distillazione di catrami), veniva usata principalmente nel rendere stagne le costruzioni navali sfruttandone l'impermeabilità all'acqua, di sigillare le botti e altri contenitori per il vino e anche per curare ferite e malattie. Taureana rivestì il ruolo di raccolta e commercio dei prodotti provenienti dall’intero territorio, un complesso denominato “casa del mosaico”, l’edificio rivestiva un ruolo fortemente rappresentativo; realizzato con stucchi, intonaci dipinti, pavimenti a mosaico di particolare pregio. L’edificio di circa 400 metri quadrati, conserva sul lato nord una sala da banchetto con un pavimento a mosaico a tessere bianche e nere con al centro questo pannello realizzato con una particolare tecnica “opus vericulatum” che utilizza minutissime tessere colorate su un letto di malta di calce steso su una lastra di pietra. All’interno è raffigurata una scena di caccia all’orso ,dove sono rappresentati due cacciatori a cavallo e uno a piedi con dei giavellotti che circondano l’orso, che viene attaccato da tre cani.
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Mella
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Dimora di un antico popolo, i Tauriani, l'area archeologica di Mella è un “cofanetto” prezioso in cui è custodita una storia millenaria e piena di mistero. Gli scavi, situati in contrada Mella di Oppido, nei pressi del vecchio centro medievale di quest'ultima, sono stati consegnati alla collettività a partire dagli anni '80.Ottima è la conservazione delle pavimentazioni stradali, realizzate con pietrame e ciottoli, e del sistema di canalizzazione per lo scolo delle acque. Il fianco della collina fu occupato da abitazioni private; sulla sommità si elevavano edifici di un certo impegno architettonico, testimoniato da una tegola con iscrizione MEGISTEA e da una gronda raffigurante la testa di pistrice un mostro marino. Nell’ultimissima fase di vita diverse abitazioni subirono modifiche, dovute a un riuso di tipo artigianale con fornaci e allestimenti legati alla lavorazione e allo stoccaggio dell’argilla.