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MArRC, livello D

La visita del Livello D del MArRC costituisce un fantastico itinerario alla scoperta della storia di Reggio e del suo territorio dall’età del ferro alla colonizzazione greca e all’epoca romana.  La città di Reggio Calabria…

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Prima della colonizzazione greca - Periodo protostorico, prima del VII sec a.C. 

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L’età del Ferro a Reggio e nelle località limitrofe

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I materiali esposti sono frutto di rinvenimenti fortuiti e oggetti senza un loro preciso contesto di provenienza, che documentano l’occupazione delle zone collinari a sud di Reggio nell’età del Ferro. Costituiscono, pertanto, una testimonianza della presenza di popolazioni indigene nell’area della futura colonia e dei suoi immediati dintorni.

Scheda a cura di Manuel Morabito e Salvatore Suraci – 5^BT a.s. 2020/2021

Scheda a cura di Francesco Amodeo, Alessandro Franco e Gaetana Pizzimenti – 5^BT a.s. 2020/2021

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…di questa statua non si conosce il contesto in cui era inserita poiché proviene da uno scavo clandestino; è datata tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., ed è stata realizzata nelle officine della Magna Grecia in marmo proveniente dall’isola di Paros. 

La figura si presenta mutila negli arti superiori ed inferiori, è alta circa 90 cm mentre originariamente nella sua interezza doveva essere all'incirca 130 cm. 

Nel volto la definizione degli occhi è appena abbozzata in quanto essa era affidata ad una linea di colore nero che però nel tempo è scomparsa; le labbra sono atteggiate nel cosiddetto “sorriso arcaico”, secondo una convenzione grafica che prevedeva un rialzamento delle estremità tale da donare un'espressione sorridente. 

…ha sempre avuto nel corso dei millenni un’importanza strategica dal punto di vista commerciale-militare e di facilità di contatti per la sua posizione sullo Stretto. Quest'ultimo è sempre stato un luogo di passaggio per incontri e scambi fin dal neolitico (VI - IV millennio a.C.). Secondo la tradizione omerica era pericoloso per la presenza di due scogli, uno con una grotta profonda e buia dove viveva il mostro Scilla e l'altro sotto un grande albero di fico dove si nascondeva Cariddi. Nel corso dell'età del bronzo (II millennio a.C.) la produzione di manufatti locali attesta i rapporti tra i gruppi indigeni che abitavano il sud della Calabria, mentre nell'età del ferro (VIII - VII secolo a.C.) i legami tra Calabria e Sicilia sono strettissimi. Ecco le prime tappe del percorso di visita.

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  • resti dell’angolo sinistro di una cornice frontale e di una sima rampante “a mantello”, elementi affini ai manufatti di scuola siceliota.

Tra i reperti più interessanti vi sono quelli della Tomba n.6 della necropoli a grotticelle artificiali di località Ronzo – Calanna (VIII sec. a.C.). Si possono ammirare corredi funerari costituiti da vasellame d’impasto con prevalenza di forme aperte quali scodellini e tazze, accanto a bocchette ed ancorette la cui decorazione rimanda, invece, a vasi di produzione greco - coloniale. Particolare è la decorazione di tipo zoomorfa con la raffigurazione di tre cavalli stilizzati su uno dei vasi. La presenza di rocchetti e fusaiole, utilizzati nelle diverse fasi della filatura, indicano l’appartenenza della tomba ad una deposizione femminile.

Nelle sepolture in località Occhio di Pellaro (VII secolo a.C.) particolare è l’unico elemento di un corredo costituito da uno scarabeo, oggetto con funzione di talismano con iscrizione sul retro leggibile da destra verso sinistra, appartenente ad una sepoltura a fossa femminile, come rilevato dall’analisi delle ossa. Sono esposti inoltre, due enchytrismoi, tipo di sepoltura entro anfore o grandi contenitori generalmente riservato ad infanti o giovinetti. In un caso il contenitore è un’anfora pithecusana, nell’altro è un’anfora corinzia che presentava come corredo una pisside corinzia, ossia un contenitore da belletti.

Rhegion, colonia greca - I greci approdarono sul nostro territorio per motivi migratori e non per motivi militari. Nell'isola greca di Eubea vi erano anche i calcidesi, abitanti della città di Calcide, che spinti dalla ricerca delle materie prime, soprattutto metalli, stabilirono piccoli traffici commerciali a partire dall'Egeo fino ad arrivare sulle coste dell'Italia meridionale. Tra l'VIII e il VII a.C. si ebbe la vera e propria ondata migratoria, che portò genti dell'Eubea a istituire nuove città nel tirreno meridionale e nell'area dello stretto dove fondarono Zankle e Rhegion(1) ossia Messina e Reggio.

Tra i molteplici reperti ceramici spiccano:

il vasellame in bucchero di importazione (metà VI sec. a.C.), il termine “bucchero” indica una particolare produzione, per prima isolata nelle tombe etrusche scavate in Toscana e in Lazio, caratterizzata dall’intenso colore nero visibile sia in superficie, quasi lucente, che  in frattura. La decorazione era spesso a graffito, a rotella o a rilievo; l’effetto generale richiamava gli oggetti metallici. Le forme qui presenti la cui produzione si ascrive al cosiddetto “bucchero sottile” per la finitura delle superfici, sono pertinenti a vasi per contenere e versare liquidi. 

Ceramica “calcidese” (VI secolo a.C.),  produzione reggina a figure nere databile nel corso del VI secolo a.C. Tale denominazione è legata all’uso dell’alfabeto calcidese per le iscrizioni dipinte sui vasi che generalmente identificano i personaggi rappresentati. I reperti esposti sono frammenti di coppe, crateri, coperchi di “lekanai”, anfore e bocchette (oinochoai); essi appartengono a diverse officine i cui pittori sono spesso noti con nomi che ricordano le peculiarità della loro produzione con il Pittore delle Anfore iscritte o il Gruppo delle Anfore iscritte. L'attenzione dell'osservatore viene qui attratta da una bellissima e raffinatissima anfora ancora rimasta intatta: Neck – amphora calcidese attribuita al Gruppo dell’Hydria di Cambridge. L’anfora viene riconosciuta come un esempio di produzione calcidese (ca 550-540 a.C.) ed è attribuita al Gruppo dell’Hydria di Cambridge. La scena figurata, costituita da una sequenza di giovani a cavallo, occupa la zona centrale del vaso: è delimitata superiormente da una catena floreale sul collo, inferiormente da una fascia concentrica di rosette e da una corona di raggi intorno al piede. Già Collezione Shelby White di New York, l’anfora, presentata alla mostra “Nostroi. Capolavori ritrovati”, organizzata presso il Quirinale nel 2008, è oggi di proprietà statale.

Nella stessa teca sono esposti esempi di coroplastica arcaica (VI secolo a.C.): diverse aree del contesto urbano e periurbano di Rhegion hanno restituito frammenti di statuette in terracotta di probabile destinazione votiva. 

Terrecotte architettoniche: esse costituiscono gli elementi di protezione e decorazione dell’orditura lignea dei tetti di edifici a carattere religioso e monumentale, anche se non si esclude una loro attribuzione ad edifici funerari e privata di un certo impegno. A Reggio le terrecotte di età arcaica e classica (VI al V secolo a.C.) sono rappresentate da: ​

  • antefisse e  piattelli che costituiscono le parti terminali dei coppi e delle gronde; 

  • frammenti funzionali ad allontanare l’acqua dalle strutture portanti dell’edificio, come le due tegole di gronda con una decorazione sul bordo e nella parte sporgente sottostante; 

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Tra i tipi di antefisse più diffusi si contano quelli detti a Gorgoneion con la rappresentazione del volto della “Gorgone”, il mostro della mitologia greca dalla funzione apotropaica, ovvero quella di scongiurare influssi maligni. Al volto della “Gorgone” si riferisce anche un grosso frammento che, invece, doveva far parte di una decorazione frontonale. 

Singolari sono l’antefissa con la rappresentazione della Potnia theròn, dea alata, signora delle fiere e le due a testa femminile i cui tratti sono ben sottolineati da una intensa policromia.

 

Al centro dell’ambiente antistante l’ingresso alla sala in cui sono esposti i Bronzi di Riace è collocato il Kouros(2), uno dei reperti più belli appartenente all’ antica Rhegion che riproduce la figura di un ragazzo adolescente, in dimensioni leggermente inferiori al vero…

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La capigliatura è resa con particolare raffinatezza: sulla fronte e sulle tempie i capelli sono acconciati in file di riccioli a forma di “lumachella”, mentre davanti alle orecchie cadono in tre boccoli a spirale; dalla sommità del capo si dipartono a raggiera ciocche ondulate che sono raccolte attorno alla nuca in una morbida treccia. Tra la fronte e la calotta era presente una benda con forellini, in cui erano, in origine, applicati fiori e foglie in metallo. 

Sui capelli sono conservate tracce di pigmento rosso che alle analisi si è rivelato essere ocra rossa ematica.

Molteplici sono le attribuzioni d’identità del soggetto raffigurato, inteso come  giovane atleta o figura posta come segnacolo di una tomba o ancora come raffigurazione di Apollo(3). E’ stato infatti ipotizzato che la testa del kouros fosse adornata con una corona d’alloro e che egli reggesse gli attributi tipici del dio, ovvero l’arco e la cetra.  

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A testimoniare l’esistenza di fabbriche specializzate nella produzione del materiale della loro realizzazione è il rinvenimento di alcuni laterizi cotti sui quali si conserva il bollo TEICHEON, che in greco significa per l’appunto “delle mura”; numerosi sono i blocchi dove è possibile ancora vedere lettere dell’alfabeto e simboli ( triangolo semplice e ascia bipenne) da interpretare come contrassegni per identificare i cantieri a cui erano destinati.

 

Il percorso museale mette poi in luce la carenza di ritrovamenti riguardo gli edifici pubblici  e di molti,  come il Pritaneion (4), il Bouleuterion e un Ginnasio, l’ esistenza è attestata solo da documenti epigrafici. Solo dell’Odeion parti sono venute alla luce durante la fase di ricostruzione di Reggio dopo il disastroso terremoto del 1908 e della sua struttura originaria si conservano solo un breve tratto della gradinata e vari frammenti di decorazioni architettoniche policrome di tipo ionico di terracotta. Esso fu uno spazio dedicato alle adunanze pubbliche cittadine ma probabilmente, grazie alla sua capienza di circa 1500 persone, venne anche utilizzato per spettacoli musicali. 

 

Anche per quanto riguarda le abitazioni private pochi sono i ritrovamenti; attraverso questi è possibile però comprendere la struttura dei quartieri abitativi e artigianali, organizzata secondo assi viari ortogonali (schema ippodameo(5). I quartieri  godevano anche di un ottimo sistema di approvvigionamento idrico. Il percorso ci rimanda alle strutture murarie rinvenute nel 1998 in via Trabocchetto II, che sono sicuramente riconducili a parte di un’abitazione greca. Da questi si deduce che i vani dell’abitazione si articolavano probabilmente intorno ad un cortile; vi erano tre ambienti, tra cui uno riservato alla cucina, come documentato dalla presenza di materiale ceramico inerente al pentolame di uso quotidiano; la presenza di materiale votivo ci fa comprendere la pratica di un culto domestico di tipo femminile. Il percorso ci rimanda anche al ritrovamento di abitazioni nell’area archeologica delle terme romane in via Marina.

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La visita della sezione dedicata a Rhegion si conclude con il repertorio di immagini e di reperti afferenti le necropoli ellenistiche. Gli spazi dedicati alle “città dei morti” si trovavano quasi tutti al di fuori della cinta muraria, probabilmente per motivi di igiene…

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… La ricca documentazione fotografica ci mostra quanto fu scoperto nel sito archeologico di S. Giorgio Extra tra il 2004 e il 2006. Sono state rinvenute 30 tombe di tipologie diverse, come ad esempio quelle a “fossa terragna”, ”alla cappuccina”, sepolture “a cassa” con copertura a libro (tegoloni l’uno intersecato nell’altro), o orizzontale o spiovente e “sepolture a baule” con l’utilizzo di semicerchi di terracotta per la copertura. 

Tra le varie tipologie di sarcofagi presenti, troviamo due esemplari “a vasca” ed uno più particolare a forma di calzare, destinato ad un infante. 

I corredi trovati sono perlopiù femminili, in essi sono ricorrenti  vari contenitori di diversi dimensioni e materiali, utilizzati per oli, balsami e unguenti. 

Per i rituali del seppellimento è documentata l’inumazione, ovvero il comune seppellimento del corpo intatto, e l’incinerazione, ovvero il corpo veniva bruciato e le ceneri venivano poi poste nei grandi vasi appunto chiamati “cinerari”. Numerose e varie sono anche le statuette femminili rappresentante in atto di portare offerte e vari recipienti e coppe tra cui una vitrea. Particolari sono i capitelli corinzi con decorazioni floreali, utilizzati per sorreggere il letto funebre, altre coppette sovradipinte e bottiglie variopinte, barchette simboleggianti il trasporto dell’anima verso il mondo degli inferi, chiodi in ferro, uno specchio in bronzo, un amuleto a forma di scarabeo, una statuetta femminile finemente panneggiata, una pentola acroma e vasi unguentari a base tripartita.

Scheda a cura di Domenica Cutrì ed Erica Falcomatà – 5^BT a.s. 2020/2021

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Proseguiamo la visita addentrandoci nella scoperta degli spazi pubblici e privati dell’antica Rhegion tra il IV e III. Sappiamo che la città era cinta da mura ed era organizzata secondo schemi urbani tipicamente greci che seguivano la distinzione tra aree pubbliche e religiose e aree abitative e produttive. Poco invece conosciamo dei suoi edifici pubblici. L’attività artigianale a Rhegion era molto fiorente e la presenza di fornaci è confermata dal rinvenimento di scarti di produzione e matrici in terracotta. Numerosi sono stati anche i rinvenimenti di cisterne e pozzi risalenti all’età ellenistica…

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Scheda a cura di Giorgia Bagnato e Martina Cogliandro – 5^BT a.s. 2020/2021

…lo spazio urbano di Rhegion tra IV e III a.C. era quindi definito nel suo perimetro da possenti mura. Ne abbiamo testimonianza in diversi siti archeologici della città, come quello sul lungomare. In questo periodo la tecnica adottata per le fondazioni era l’opera quadrata, per la quale venivano utilizzati blocchi di arenaria alternativamente di taglio e di testa, mentre per l’alzato probabilmente venivano usati  mattoni sia cotti che crudi. 

Nell’itinerario di visita ci incuriosiscono i reperti riferiti all’approvvigionamento idrico della popolazione di Rhegion. Apprediamo che nelle parti alte delle città venivano utilizzate le cisterne che traevano beneficio all’approvvigionamento idrico delle zone collinari, esse presentavano una forma troncoconica, con pareti che si allargavano verso il fondo e un bacino di raccolta circolare con al centro una leggera depressione; scavate nel terreno avevano pareti in conglomerato rivestite da malta idraulica. La parte bassa della città, invece, per il rifornimento di acqua godeva dei pozzi. Essi presentavano pareti completamente rivestite da anelli cilindrici di terracotta e fori rettangolari che facilitavano la discesa e la risalita per gli addetti alla loro manutenzione. Questi ultimi, con la costruzione dell’acquedotto avvenuta in età romana, persero il loro valore. 

Apprendiamo poi che si suppone che nell’attuale centro cittadino vi fosse all’epoca la presenza di un vero quartiere con funzione di “ceramico”, ossia un’area artigianale localizzata all’interno della cinta muraria, spesso in posizione periferica. Delle fornaci si conservano soprattutto i pilastrini di sostegno delle camere di combustione e parti del corridoio di alimentazione del fuoco chiamato il prefurnio, come ci mostra la documentazione fotografica relativa alla camera di cottura della fornace scoperta in via G. D’Annunzio.

Particolarmente interessante nel percorso di visita della Rhegion ellenistica è il vasto repertorio di reperti afferenti a un Santuario dedicato alla dea Demetra e alla figlia Kore, trovati nell’area di scavo in suolo Griso-Laboccetta, da cui l’intera area sacra ha preso il nome convenzionale. Il sito archeologico si trova nei pressi di via del Torrione, nel centro cittadino; i primi ritrovamenti avvennero nel 1845; in seguito, nel 1883, fu scoperta la prima stipe votiva e dopo un paio di anni vennero alla luce oggetti votivi in coroplastica e ceramica…

…Il santuario reggino ricade all’interno del circuito urbano delimitato dalla cinta muraria ellenistica, databile tra il V e il IV secolo a.C. In base agli ex-voto più antichi, la fondazione del santuario può essere assegnata alla fine del VII secolo a.C. Sembra che il santuario sia rimasto attivo fino al I secolo a.C.

A circa 3 metri di profondità furono scoperti parte di un massiccio muro di recinzione ed un rilievo, databile all’ultimo quarto del VI secolo a.C., raffigurante due fanciulle danzanti o in fuga.

Gli studiosi ritengono che esso ornava, con ogni probabilità, un edificio sacro, di cui sono stati rinvenuti anche altri frammenti di decorazione architettonica, quali tegole, piatti di gronda, frammenti di cassetta policromi ed antefisse a testa femminile

Tra i numerosi ex voto del Santuario dedicato alla dea Demetra(6) e alla figlia Kore sono particolarmente frequenti i protomi, ovvero volti o busti femminili cavi all’interno, che secondo alcuni richiamerebbero le maschere indossate dalle fedeli durante le processioni rituali. 

Altre rappresentazioni destano curiosità, come il cagnolino accovacciato, il piccolo vaso configurato a forma di delfino e diversi contenitori con coperchi variopinti, detti “saliera” per la notevole somiglianza a quel tipo di oggetto. 

Diffuse sono anche le statuette in terracotta di varia tipologia offerti agli Dei: Persefore, Demetra, Afrodite, Artemide ed Atena. Un’ interessante classe, tipica dell’età ellenistica, è quella delle “tanagrine”, figure femminili stanti in posizione flessuosa, caratterizzate da acconciature e panneggi elaborati ed arricchiti da colori come il rosso, l’azzurro ed il rosa.

Durante i lavori per la realizzazione del Museo Nazionale fu portata in luce un’area cimiteriale vicino le mura di Reghion in cui emersero varie sepolture di età ellenistica, scoperti soprattutto numerosi Lekythos (vasi della forma stretta e allungata), con decorazioni a figure nere su fondo rosso e alcune ceramiche miniaturistiche con varie rappresentazioni di scene di caccia e di quotidianità.

Percorriamo l’ultimo settore dedicato alle testimonianze della Rhegium Julii che ci narra di come nell’età imperiale i suoi abitanti si dedicavano alla cura del corpo, di come venivano onorati i defunti e della posizione strategica della città per il trasporto delle merci via mare…

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Le terme - Durante l’età imperiale Rhegium Julii mostrava tutti i caratteri di una grande città. L’antica tradizione legata alla cultura del bagno igienico(8) divenne un momento importante della vita quotidiana. Al ginnasio, forse già dotato di un’apposita stanza con vasche, dette  lenoi, a disposizione degli atleti, si affiancò la costruzione di grandi edifici pubblici, le thermae, che offrivano il piacere di ampie sale anche riscaldate. Nelle case private le sale da bagno dette loutra, dotate di una piccola vasca, il pyelos, e allestite spesso nei pressi della cucina, lasciarono il posto a veri e propri nuclei termali, i cosiddetti balnea, nei quali il proprietario poteva ricevere i suoi ospiti, concedendo loro tutti i lussi di una ricca abitazione romana (domus). 

 

Il sito archeologico delle terme romane lungo la via Marina - Non lontano dalla Stazione ferroviaria si conservano le uniche testimonianze delle numerose terme di Rhegium Julii, scoperte casualmente nel 1886 durante i lavori per l’ampliamento della strada e la costruzione della ferrovia. 

Il complesso comprendeva:

  • il frigidarium, una sala non riscaldata la cui pavimentazione era costituita da un mosaico a schema geometrico di cui è possibile ammirarne una parte ben conservata; 

  • la piscina, una vasca rettangolare con acqua fredda rivestita in marmo e ornata da affreschi a motivi marini;

  • una palestra all’aperto destinata agli esercizi fisici; 

  • un percorso termale vero e proprio attraverso i vani riscaldati: l’alveus, una grande vasca in muratura, accessibile attraverso alcuni gradini, adibita al bagno caldo, reso ancora più gradevole dalla diffusione uniforme del calore grazie all’inserimento di una lamina di piombo nella muratura; il tepidarium, un ambiente quadrangolare a temperatura media; e, quindi, il caldarium, ambiente riscaldato direttamente dalle fornaci, dotato di altre due vasche in muratura; 

  • nei pressi dell’accesso occidentale vi era una latrina e, posta sul lato opposto, una grande piscina  detta natatio.

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Prosegue il percorso attraverso le testimonianze relative alla città Romana. Intorno al 300 a.C. Rhegion, a causa delle minacce da parte dei Cartaginesi, fu costretta a chiedere aiuto ai romani. Divenuta municipium nell’89 a.C., fu una importante base navale. Così  il suo nome fu cambiato in Rhegium Iulii ed entrò a far parte del sistema amministrativo romano. Il rinvenimento agli inizi del Novecento, nell’odierno centro storico cittadino, di una base di statua con il nome iscritto AUGUSTI è forse testimonianza della riconoscenza dei cittadini nei confronti di Ottaviano Augusto (primo Imperatore Romano)…

Scheda a cura di Dalila Morabito e Federica Santoro – 5^BT a.s. 2020/2021

Scheda a cura di Miriana Morace, Rocco Sapone e Federica Santoro – 5^BT a.s. 2020/2021

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…All’inizio del percorso possiamo apprezzare il contributo delle iscrizioni a testimonianza della vita pubblica della città dopo la sua romanizzazione. Proprio attraverso le epigrafi risalenti al II secolo a.C. possiamo apprendere:

  • i nomi di personaggi politici e i principali organi di governo della città; 

  • che a partire dal IV secolo d.C. Rhegium fu sede del governatore della Lucania e del Bruzio;

  • che vi fu un ginnasio riservato all’istruzione dei giovani e alle loro attività sportive (attraverso tre iscrizioni incise sulle basi in marmo di statue, tra cui una dedicata al ginnasiarca (capo e amministratore del ginnasio presso gli antichi Greci) Aristomachos(7);

  • l’esistenza del pritaneo (edificio pubblico dove in origine era ospitato il primo magistrato) e di un tempio dedicato ad Apollo Maggiore;

  • alla dea Diana fa riferimento l’iscrizione sulla base di una statua. 

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Lungo il nostro percorso le immagini e la documentazione dei pannelli espositivi ci raccontano l’organizzazione degli spazi pubblici e privati della città romana…

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…scarse sono le testimonianze sull’edilizia,  i pannelli documentano il ritrovamento di :

  • resti di abitazioni signorili in un settore centrale dell’odierno corso Garibaldi.

  • resti di un grande Ninfeo presso il Lungomare. La ricostruzione grafica ci fa immaginare come esso costituiva una scenografia terrazzata con la quale Rhegium si affacciava sullo Stretto.  Non si sa se apparteneva a una villa privata oppure ad un edificio pubblico, era realizzato a forma di esedra semicircolare, nella parte posteriore aveva un serbatoio collegato all’acquedotto. Ai due lati dell’esedra, decorata da statue e marmi colorati, vi era una monumentale costruzione a nicchie semicircolari, della lunghezza di 120 m. Nel VI secolo d.C. nell’area vennero aggiunti una fontana e un portico, così divenne sede di un quartiere artigianale, destinato alla lavorazione del pesce; il quartiere venne completamente abbandonato tra l’VIII e il IX secolo d.C. 

  • tratto di un asse stradale orientato Sud-Nord, a vista nell’area archeologica ipogea di Piazza Italia, largo poco più di 4 metri e fornito di marciapiede sul quale si affacciano diversi edifici databili a partire dal I secolo a.C. Si ipotizza che quest’area potesse essere stata quella del foro cittadino (centro monumentale della città) grazie alla scoperta di numerosi basi con iscrizioni onorarie pubbliche.

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I luoghi di sepoltura - Essi erano solitamente situati al di fuori delle mura e disposti lungo le strade di accesso alla città. Inumazione e incinerazione erano le modalità di seppellimento tradizionali. I corredi erano in genere costituiti per lo più da balsamari vitrei. 

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Il commercio via mare - Rhegium (9) per tutta l’età imperiale continuò ad essere uno scalo strategico tra Oriente e Occidente per il trasporto via mare di ogni genere di merci in transito verso il Tirreno; tra queste, per esempio, i marmi pregiati dall’Asia Minore, la pece e il legname, utilizzato anche per i cantieri navali locali.

Ugualmente il suo porto fu fondamentale per lo smistamento delle merci ad uso locale e per gli scambi, quindi,  tra i territori delle due sponde. Tra i reperti esposti vi sono:

  • vasellame da mensa d’importazione dal mondo africano, nelle sue più svariate forme;

  • ceppi di ancore in piombo di diverse dimensioni; 

  • anfore di varie produzioni, incluse quelle africane, destinate principalmente al trasporto di vino e di olio e salsa di pesce.

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La visita della sezione dedicata alla storia di Reggio si conclude di fronte a un grande mosaico posto sulla parete di fondo, che ci incanta per la bellezza e la ricercatezza descrittiva delle sue raffigurazioni. 

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Il mosaico - Scoperto nel 1921 durante i lavori di scavo delle fondamenta di palazzo Guarna (storico palazzo del centro di Reggio che si trova tra il corso Vittorio Emanuele III, via Osanna e via Fata Morgana), esso doveva essere il pavimento della palestra di un edificio termale. Gli studi lo datano in età imperiale, tra il 250 e il 225 d.C. Le dimensioni sono 3,55 m di altezza e 5,50 m di larghezza; le tessere sono da 40 a 50 unità circa per decimetro quadrato. 

Il soggetto del mosaico, in tessere bianche e nere, rappresenta due gruppi di atleti che combattono tra loro: 

La scena a sinistra raffigura due atleti che si sfidano in una gara di pancrazio, antica gara di combattimento dove il lottatore sconfiggeva il suo avversario utilizzando tutta la sua forza e tutte le parti del corpo; l’atleta a destra sferza un colpo di gomito contro il torace dell’avversario, facendogli perdere l’equilibrio. Sopra i combattenti sono indicati i loro nomi, quello in alto è un nome egiziano, significa primos (uno); il nome in basso è Damas, figlio del famoso lottatore Marco Antonio Damas, già noto sia in Asia Minore che in Magna Grecia; entrambi erano professionisti itineranti che partecipavano a gare. Vicino a loro l’allenatore-giudice reca in mano il ramoscello di palma con cui designa il vincitore.

La scena a destra vede impegnati i due atleti in una gara di pugilato, l’allenatore giudice bandisce la verga simbolo della sua autorità. La scena è ambientata all’interno della palestra, infatti alla parete sono appesi un vasetto per l’olio con cui gli atleti si ungevano il corpo prima degli esercizi e due strigili con i quali si detergevano dall’olio e dal sudore dopo l’attività. Al centro della parete di fondo sono appesi i premi per i due vincitori.

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Sintesi tratta dalla documentazione presente in museo nei pannelli esplicativi e nelle didascalie dei reperti.

Nota (1): Secondo una leggenda dopo una carestia alcuni calcidesi furono offerti in sacrificio ad Apollo che in risposta ordinò loro di fondare una città indicando anche il luogo. I coloni, arrivati in Calabria e raggiunta la riva destra del fiume Apsias, vi fondarono Reggio avendo interpretato la presenza di una vite avvinghiata ad una pianta di fico selvatico con il sito indicato dall'oracolo di Apollo. Si ipotizza che il fiume Apsias possa identificarsi con l'odierno Calopinace.

Nota (2): la denominazione greca di kouros deriva dalla classe di sculture a cui appartiene, quella delle figure maschili nude, di età arcaica o di stile severo, stanti e in posizione frontale, con le braccia distese lungo i fianchi ed una gamba avanzata.

Nota (3): Apollo è stata la divinità più frequentemente rappresentata adottando lo schema del kouros; divinità greca e romana, è il dio della luce, definito in antichi versi «datore di felicità, è amabile, giovane, glorioso», ed ha la «chioma d’oro» . Per tali caratteristiche Apollo poteva assumere le forme di un giovane bello dal fisico atletico, che si distingueva però da un comune mortale tramite gli attributi distintivi del dio.

Nota (4): il Pritaneo era un edificio delle città dell'antica Grecia in cui si custodiva il fuoco sacro e si facevano i sacrifici comuni; il Bouleuterion era un edificio che ospitava il consiglio (boulé) della polis nell'antica Grecia, il Ginnasio era il luogo dove i giovani si addestravano e si formavano fisicamente.

Nota (5): lo schema ippodameo, dal nome dell'urbanista del V secolo a.C. Ippodamo di Mileto, è un tipo di planimetria in cui le strade sono disposte in modo tale da formare angoli retti alla loro intersezione e una serie di isolati quadrangolari.

Nota (6) la dea Demetra, sorella di Zeus, nella mitologia greca è la dea del grano e dell'agricoltura, nutrice della gioventù e della terra verde, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte. Il culto di Demetra e della figlia Kore risulta ampiamente attestato nelle fondazioni coloniali greche in Italia meridionale ed in Sicilia. In onore di Demetra si svolgevano, tre volte l’anno, cerimonie riservate alle donne, tra cui le Tesmoforie e i misteri eleusini. Queste celebrazioni erano ricche di simbologia, alludendo ai cicli della fertilità, della nascita e della morte, non solo in relazione al mondo vegetale ed animale, ma anche come speranza di vita oltre la morte.

Nota (7) in questo periodo gli incarichi pubblici erano riservati ai romani e la lingua latina era conosciuta dagli appartenenti ai ceti benestanti; l’uso della lingua greca rimase ancora per qualche tempo, come testimoniano iscrizioni sia pubbliche che private ed alcune epigrafi funerarie caratterizzate dalla mescolanza di lettere greche e latine.

Nota (8) sul sistema di riscaldamento degli ambiente e dell’acqua delle piscine: i bracieri anticamente utilizzati furono eliminati grazie all’invenzione di una soluzione architettonica che consentiva di riscaldare artificialmente gli ambienti tramite l’aria calda che, prodotta da una fornace ricavata in un piccolo ambiente di servizio detto “praefurnium”, veniva fatta circolare in uno spazio, l’”hypocaustum”, ricavato al di sotto della pavimentazione, detta “suspensurae”, che spesso era sostenuta da bassi pilastrini, le “pilae”.

Nota (9): il nome Kalabría fu attribuito alla nostra regione nel VII secolo d.C. Nell’ordinamento delle regioni voluto da Augusto, costituiva la terza “regio”, come testimonia Plinio il Vecchio. In essa importanti furono anche i collegamenti terrestri, in particolare attraverso la via Popilia, che era l’asse principale di collegamento diretto tra l’Italia centrale e la Sicilia.

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In alcuni casi le sepolture erano segnalate da iscrizioni su pietra con la tradizionale formula dedicatoria Dis Manibus, agli Dei Mani. Spesso l’epigrafe era in lingua mista, greca e latina, e ciò documenta l’uso di entrambe le lingue ancora in età imperiale.

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note livello D

Tutor: prof.ssa Anna Benedetto

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