Palazzo Alvaro, sala Mons. Ferro
Scheda a cura di Ilaria Angela Falduto e Rebecca Pianelli – 5DT a.s. 2020/2021
L’ingresso nella Sala Rossa lascia senza fiato. Ambiente di rappresentanza, è stato intitolato nel 1996 a Mons. Giovanni Ferro, Arcivescovo di Reggio tra il 1950 ed il 1977.
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Viene definita “Sala Rossa” per le diverse gradazioni di rosso usate nelle pareti, nelle tende e nel mobilio.
Questo ambiente è ricco di bellissime e importanti opere d’arte come dipinti e sculture su cui primeggia lo Stemma della Provincia di Reggio Calabria.
Il primo dei dipinti, che andremo ad analizzare, è quello sul soffitto, dedicato al fenomeno della “Fata Morgana”, opera dell’artista Francesco Galante.
Egli raffigura, in primo piano, la Fata Morgana, su un carro trainato da un cavallo accompagnata dalla figura di un bambino, e alle sue spalle è rappresenta la Calabria o la Sicilia. In questo dipinto, l’artista ha utilizzato dei colori molto chiari e tenui, per rendere meglio l’effetto ottico del fenomeno. Qui, viene raffigurato il complesso e insolito miraggio in cui si può vedere la Sicilia (o la Calabria) più vicina del normale con immagini distorte e riflesse sul mare; in sostanza la distanza dalla costa diminuisce sensibilmente e si ha l'impressione di osservare nello Stretto una città irreale che si modifica e svanisce in pochissimo tempo. Questo accade quando la temperatura dell'aria in prossimità del suolo è minore di quella dell'aria sovrastante, tant'è che il fenomeno si ripete solo nei giorni calmi e limpidi d’estate, molto spesso in agosto e nelle calme albe settembrine. Nelle acque delle rive di Reggio si vede specchiato, limpido e preciso, il litorale siciliano con le case, le piante, i giardini, le navi e perfino gli uomini che lavorano nelle insenature del porto.
Il primo busto è realizzato dallo scultore calabrese Francesco Jerace ed è titolato “l’Era di Maggio”. Presentato alla Biennale del 1920, è già menzionato tra le opere della collezione del Palazzo nella “Guida di Reggio” del 1928. Lo scultore per la sua opera si è ispirato ad una delle più note canzoni napoletane di fine secolo, intitolata “Era de Maggio”, musicata da P. Mario Costa sui versi di Salvatore di Giacomo. L’artista raffigura la testa di una giovane donna, con il capo reclinato all’indietro e un’espressione sognante tra i bellissimi, lunghi e folti capelli sciolti poggianti sulla spalla destra.
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Il secondo busto di donna rappresenta Cerere (Dea della Fecondità), opera dello scultore reggino Domenico Fera e donato nel 2013. Il volto della dea è stato raffigurato dall'artista usando come modella una ragazza incontrata per caso lungo il Corso Garibaldi. La dea è rappresentata in giovane età come si evince dai lineamenti del volto e dalla rigogliosità del suo corpo. La posa del viso di profilo e l'acconciatura dei capelli raccolti in una coda di cavallo, mette in risalto la perfezione dei suoi lineamenti.
Altri due grandi e bellissimi dipinti, posti a parete, sono Amore e Giovinezza.
Nella sala altri due dipinti di paesaggi rappresentano le vedute, rispettivamente di Scilla e di Reggio prima del terremoto del 1908. Nei due quadri l'atmosfera è calma e soleggiata, probabilmente estiva. Le due città vengono rappresentate prima del terremoto e questo lo si capisce per esempio guardando il dipinto di Reggio dove sul litorale sono presenti molte chiese ed edifici storici che oggi non esistono più, ma anche a Scilla sono raffigurate alcune imbarcazioni che oggi non sono più utilizzate.
In Amore, la scena è ambientata all’esterno con un paesaggio naturale di sfondo che evoca il giardino dell'amore cortese. L’artista ha voluto rappresentare due amanti molto vicini tra loro, nell’atto di conversare; la ragazza regge in mano un mazzo di fiori mentre il ragazzo è rappresentato nell’atto del corteggiamento. Questo è il periodo storico in cui l'amore e la donna sono posti al centro dell’universo cortese, come si evince anche dagli abiti tipici del XII secolo che i due giovani indossano.
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In Giovinezza, invece, vediamo che la vicenda si svolge vicino ad una fonte dove l’artista ha rappresentato una giovane donna che sembra dilettarsi con l’acqua. L'intento nel realizzare questo dipinto, è quello di raccontare la leggenda dell'acqua della fonte, propria della mitologia medievale e classica, le cui sorgenti si troverebbero nel giardino dell'Eden, e hanno il potere di guarire dalla malattia e ringiovanire chi ci si bagna.
Un altro elemento molto interessante, è che l’artista ha voluto rappresentare la scena come un momento di vita quotidiana, lo vediamo soprattutto nella figura del cane posto nella parte inferiore del dipinto.
Purtroppo, di questi due dipinti non si sa chi sia l’artista.
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​I due busti scultorei posti a lato delle ampie finestrature rappresentano due figure femminili molto sensuali.
Tutor: prof.sse Anna Benedetto e Annamaria Esposito